Liberamente tratto dal manoscritto A di Storia di un’anima e dalle poesie di Santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo, Thérèse Martin ovvero Santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo. Racconto d’infanzia è una pièce teatrale di Rosaria Lo Russo, con Rosaria Lo Russo e Rosanna Gentili (che ne ha curato la regia), con la collaborazione straordinaria di Renato Ranaldi (che ha prestato parte della sua opera-installazione Quello che accade a prendere troppo sul serio la prospettiva, 1974 allo spettacolo andato in scena a Firenze nel giugno 2012 con il Patrocinio dell’Archivio per la Memoria e la Scrittura delle donne e dell’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Firenze). Il design del suono e dell’immagine sono di Massimo Liverani; gli oggetti scenici, i costumi e la collaborazione tecnica sono a cura di Rosanna Gentili, Giulia Lo Russo, Andrea Libralesso, mentre la consulenza scientifica è di Anna Scattigno.
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Racconto d’infanzia di Rosaria Lo Russo è un’incursione nella prima narrazione autobiografica che la giovanissima suora carmelitana Thérèse Martin, su richiesta delle sorelle (cinque, tutte monacatesi nel Carmelo di Lisieux), ha scritto raccontando la sua vita dall’infanzia all’entrata in monastero. Contemporaneamente alla scrittura autonarrativa Thérèse è stata autrice di poesie occasionali, o su soggetti particolarmente cari alla sua visione dell’eroismo cattolico femminile, che rivelano, insieme al racconto della vita, la sua visione mistica e mitica del destinarsi alla sororità monacale piuttosto che alla vita borghese (la classe sociale a cui la famiglia Martin apparteneva) di una donna adulta.
Paradossalmente – e protofemministicamente – Thérèse, tramite la scrittura, rappresenta il suo anelito di libertà spirituale e intellettuale rispetto alla “clausura” dei rituali convenzionali cui le donne della sua società e della sua epoca erano destinate. E sceglie di restare Bambina per sempre, affrontando la vita da suora e la morte da santa con la consapevolezza della scelta di rimanere al di qua della vita di una donna adulta della provincia francese tardo-ottocentesca, autoescludendosi dalle tappe forzate della vita femminile della borghesia.
Ad una restituzione vocale fedele del testo di Santa Teresina – santa popolarissima e amatissima proprio perché archetipo della Bambina-Vergine-Madre (in quanto suora, Madre) – l’archetipo dell’unica femminilità-altra accettata dal pensiero e dalla mentalità borghese (ma accettata in quanto autoesclusione, non in quanto libera alternativa), si contrappone la messa in scena del corpo femminile nella sua realtà di impedimento ad esistere, e diventare adulto al prezzo di perdere l’innocenza, la visione mi(s)tica del mondo.
Thérèse sceglie di non diventare adulta, prima facendosi monaca carmelitana, in acquiescenza alla sorella maggiore, Pauline, poi di vivere anelando la morte come ritorno all’amore originario, al principio stesso del venire al mondo, per preservare il valore eversivo dell’innocenza, della delicatezza, della fragilità come risposta straziata e straziante al dolore per la realtà del male.
Una requiescenza che non è passività e tanto meno bigottismo ottocentesco proprio perché oppone al potere ecclesiastico la resistenza di una clausura sororale dalla quale prende corpo una scrittura narrativa e poetica (che prevedeva anche frequenti incursioni teatrali in monastero, “pie ricreazioni” le chiamava Thérèse) vòlta a sottrarsi alla schiavitù del mondo in nome della libertà dello spirito creatore dell’infanzia di inventare, con coraggio, l’oltranza e l’alterità come dimensioni di spossessamento: infine di libertà dall’Io. L’itinerario mistico di Thérèse, la “petit voie” (la “piccola via”), è questa infinitamente piccola resistenza al potere e al male attraverso la straordinaria capacità infantile di perseverare nell’invenzione del bene.