L’unico modo onesto che io conosca per tenere un corso di scrittura creativa che abbia per oggetto la poesia consiste nel far leggere i testi ai partecipanti al laboratorio, testi propri o altrui non fa alcuna differenza, e lasciare invece che il momento della scrittura rimanga slegato – anche se non indipendente – dal contesto laboratoriale, comunque leopardianamente solitario. Soltanto i grandissimi poeti e/o gli abilissimi versificatori sono in grado di scrivere poesia all’impronta o su commissione o anche solo lì per lì, ma spesso è un gioco, che implicherà ripensamenti e labor limae. In effetti improvvisare un sonetto è facile: in un paio d’ore chiunque si iscriva ad un seminario di poesia si suppone possa farlo (ma c’è poco da illudersi: troppi pensano ancora che fare un seminario di poesia sia la stessa cosa che fare terapia di gruppo. Ma tant’é: e in questi casi l’onesto pedagogo deve scoraggiare l’aspirante poeta e indirizzarlo ad un bravo psicoterapeuta, anche se i confini sono labili, fra poesia e psicopatologia, e vedremo come fronteggiare anche questa catastrofe d’origine romantica). Allora, dobbiamo evitare l’insegnamento passivo della metrica: per imparare questa va benissimo qualche raro corsetto universitario, o un buon manuale.

Oltretutto l’insegnamento della metrica come punto di partenza non è accettato psicologicamente dai molti che si ostinano a credere che la poesia abbia a che fare essenzialmente con lo stato d’animo dello scrivente: anzi con due stati d’animo: la gioia o la disperazione. Tutto il resto, specialmente se possiede una forma (la terrorizzante metrica), come cantava  quello, tutto il resto è noia.

Ciò premesso affermo che la ragione etico-estetica per cui tengo laboratori di poesia è la speranza di svuotare nella psiche di taluni il comune senso del poetico, sostituendo nella mente potenzialmente poetante dei miei allievi – che dopo i primi cinque minuti non mi abbiano già preso a uggia – il comune senso del poetico con il senso del poetico, operazione maieutica che non ha a che fare con il giudizio estetico ma con la prassi artigianale. Antropologicamente la vocazione e l’ispirazione poetica esistono, ma non sono fenomeni celesti, ineffabili ed imperscrutabili, sono modalità analizzabili in quanto pertengono alla mente umana, e la mente è fatta di carne. Il fatto poetico (poièin in greco significa “fare”, cioè per noi ‘un fare con le parole, un fare di parole’) è un accadimento, se grandioso possiamo pure dire un evento, che coinvolge l’insieme corpo-mente dell’autore. Poesia significa fare attraverso le parole. Pensiero, sensi, memoria, attualità e storia: chi scrive una poesia fa con il linguaggio, opera con lo strumento più primordiale dell’uomo, se il linguaggio, nella sua quintessenza è voce: ma la voce che ci distingue in quanto esseri umani. La voce articolata in canto. Ma senza la musica. Una voce che è già di per sé musica, non perché ce lo dice lo spirito, ma perché lo sente l’orecchio. Il senso ultimo di ogni atto poetico è il suo ritmo.

La voce può anche essere interiore, come quella dei mistici, ma è pur sempre voce, non pensiero. Parole in libertà? Non esiste libertà in poesia. I versi non sono mai liberi. Libero e soddisfatto del suo fare sarà il poeta che comprende che nel suo “legato” sta la sua libertà: di pienamente esprimersi, ed universalemente, mediante la riconoscibilità universale del ritmo fonico.

E adesso, con i miei dieci lettori superstiti, vediamo come si può fare ad intendersela con la poesia (che deve cessare di essere per pochi eletti, eufemismo che sta per ‘incomprensibile’: la poesia, se è incomprensibile, vuol dire che non vuol dire nulla, la qual cosa può anche avere senso, ma solo se il sedicente poeta ha coscienza di non aver voluto dire nulla, non di essere un poeta ‘ermetico’: ché l’Ermetismo, parola-definizione, nemmeno troppo felice, di un noto critico per una ristretta cerchia di poeti italiani che furono operativi dagli anni Quaranta circa del secondo Novecento, in Italia è tenacemente assurto a categoria dello spirito).

Non interessandomi, sempre per ragioni di onestà didattica, del giudizio estetico, premetto che questo scritto, che riporta ciò di cui parlo in ogni seminario sulla cosa poetica, ha per argomento principale la ricerca dello specifico poetico.

Fra senso e sensi. Suggerimenti teorico pratici per la lettura ad alta voce e Appendice. Per un assaggio di poetica dell’autrice in AA.VV., Leggere e scrivere in tutti i sensi, a c. di Sandra Landi, Firenze, Morgana Edizioni 2003, pp. 69-83 (cfr. anche p. 11 e p. 28).

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