Tutto verrà tralasciato di quanto concerne i riferimenti non danteschi nei testi poetici che commenterò e molto verrà tralasciato, in queste pagine, di quanto è intercorso fra Dante e Me, fra il Padre della Poesia Italiana e una Figlia Incestuosa di essa, fra dettatura amorosa e dittatura della tradizione dantesca nella mia poesia. Ma la messa a fu(o)co dell’essenziale poietico, e quindi del suo valore precipuamente testimoniale, mi inducono a rinunciare all’esaustività filologica a favore di un rilievo ideologico del discorso, che intende essere adeguato ad una militanza poetica sottomessa all’attualità dello stato presente della poesia femminile, non foss’altro perché da anni se ne fa un gran discorreregenerico (ovvero con l’approssimatività di molti, troppi, studi cosiddetti di genere), appunto, senza però quasi mai soffermarsi, qui, sì, filologicamente, ovvero in medias res, sugli elementi propriamente letterari di quanto vagola in tali studi, genericamente femministi, sul monstrum detto poesia femminile: i grandi temi della ricerca dell’Identità poetante (che poi si riduce tristemente e troppo spesso a generici autobiografismi che sconfinano nella pseudopoesia dello sfogo emotivo) e quindi del Corpo, in primis. Mi tenterò di verificare la presenza di alcuni motivi ascrivibili a queste tematiche, altrimenti generiche, facendo atto, umilmente puntuale, di autopoietica, ovvero prendendo alcuni miei testi a prestesto per un discorso che, fra le righe, vorrebbe essere transpersonale, come avrebbero detto le poetesse americane della metà del secolo scorso, quando la poesia delle donne cominciò a diventare un fenomeno di massa (contestualmente al femminismo mondiale), sia per quantità che per qualità, attestandosi fortemente attraverso il lavoro di Sylvia Plath ed Anne Sexton, giusto per citare le due che conosco meglio e che sono le più rappresentative, data la sceltaconfessionale, delle macrotematiche di cui sopra. Ma concludo subito con le generalizzazioni storico-geografiche – avendole citate come riferimenti a miei interventi pregressi (cfr. bibliografia finale) e per eventuali interventi futuri – e delimito l’oggetto della ricerca presente ad alcune mie modalità di sperimentazione circa l’identità-identificazione/costituzione poetante femminile all’interno della Tradizione Letteraria Italiana in relazione a ciò che la rappresenta antonomasticamente, il Poema del Pater Patriae.

Trattando precipuamente della nascita e del costituirsi del mio poetare in quanto soggetto femminile attestantesi, attraverserò, per summa capita, il mio rapporto con la Sua/Nostra lingua letteraria come essa originariamente fu – ed è,originariamente, in ogni atto realisticamente poietico – ovvero un fatto di in-formazione orale. In quanto tale l’atto poietico (e metapoetico, in questo caso) si basa sull’antico stilema delle modellizzazioni, sulla prevalenza degli exempla dei “parlar” materni-paterni: in pratica emergerà dal mio discorso come rimodellizzo stralci del poema di Dante che modellizza la lingua poetica in base al suo stilema principale, la mimesis orale (del volgare, guarda caso, muliercolo, che doveva farsi illustre), sorretta dalla mnemotecnica degli exempla, da intendersi come citazionismi sperimentali e modelli autoriali. Dunque la lingua-poema di Dante è per me l’Exemplum su cui modellare la lingua poetica come imitazione orale, il mio idio-dialetto fiorentino. Valse per Dante, vale per me per presa di posizione performativa: comica, teatrale.

Ma poiché non si tratta (ovviamente!) di un’operazione-posizione di riscrittura – nonostante e anzi proprio a causa del fatto che il libello da cui traggo quasi tutti i testi che presento s’intitoli Comèdia – il mimetismo orale-vocale dantesco della mia poesia è da ascriversi in un metaforismo allegorico-parodico globale che rinvia vettorialmente, cioè a perdere (ad infinitum, ad eco orale) oltre che a recuperare, a loci della Comedìa centonizzati per ragioni semantiche spostate metonimicamente rispetto al dettato dantesco e – ciò che più conta – pro-vocatoriamente desemantizzate-decontestualizzate. L’Amore per il Padre Dettatore-Dittatore non solo non è sordomuto (come tanta pseudopoesia infestante le patrie lettere dal dopo-Petrarca al Novecento, perché infestata dal Modello Linguistico per eccellenza memorizzando e memorizzato, e perciò sempre più scolasticamente esausto-esaustivo, molto presto deteriorato in stilnobbismo patriarchista: dal cui misfatto deriva che l’80% della lingua poetica italiana non si è scostata di un ette dal volgare illustre che inventò Dante, a ben sentire) ma non è neppure cieco: anzi,  quel che nella mia poesia s’inscena linguisticamente e concettualmente, è proprio un’incessante dialettica informativa del ricantare parodicamente la Voce Creatrice del Padre Orante come certificato di nascita di una lingua poetica altra perché dell’altra, della Femmina Fonica (come mi ha gentilmente definito un giovane critico, Marco Simonelli) che impara a “parlar” dalla Voce del Padre/Lingua Madre, divorandola ed espellendola, una volta metabolizzata, modificata attraverso l’uso straniante e pervertito della centonizzazione (come vedremo desemantizzata e perciò risemantizzante), che pertanto assurge a stilema retorico-semantico fondamentale. La poesia femminile – se vuole esistere come fenomeno storico-letterario – deve attestarsi nel Canone (volente o nolente: non c’è Arte senza modelli e tèchne precostituiti), trovando prima una propria ubicazione, dunque un ubi consistam, se vuole poi trovare una voce propria. In mancanza di una tradizione propria, essa va inventata, va rinvenuta nella sua lingua, prima ancora che nei suoi contenuti (anche perché temi e lingua, significati e significanti, in poesia non possono scindersi): la lingua, il corpo del testo, non può che essere il primo oggetto, l’Oggetto Primario, kristevianamente, di ogni possibile discorso sul fare (poièin) del soggetto femminile, nel mio caso scrivente in italiano. La poesia del soggetto femminile italiano è ancora allo stadio vegetativo, storicamente parlando, dato che le nostre poetesse, fino al Novecento inoltrato, sono state perlopiù (intendo quantitativamente e qualitativamente) riducibili al canone sonettistico petrarchista (e dopo il ‘500 alle sue progressive degenerazioni di massa nel comune poetese versoliberista moderno e contemporaneo). Di tale vegetatività tratterò, muovendomi fra sprazzi e stralci di versi, avendo a che fare con questa macroallegoria doppiamente originante – perché legata all’anfibologia della parola poetica, del segno linguistico in poesia – del processo di costituzione (concepimento, nascita e vita nuova) del dictatum femminile e della sua specificità in un ordine dialettico-concettuale rispetto al (ai) Padre/i.

Prima di passare alle puntualizzazioni autoesegetiche e per contestualizzarle adeguatamente, delimito il campo semanalitico fondante. Il Padre, i Padri, sono Maschi e quindi la Lingua Madre, elaborata in poesia, diventa Lingua dei Padri. Dunque il Soggetto Poetante è Lui mentre lei, ab origo, è un Tu Angelicato (asessuato, de-genere, madre quindi solo nel senso metaforico del termine), più che donna un Travestito, un travestimento dell’anima di Lui, una non-lei. Insomma il punto di partenza e anche il nodo centrale della mia poietica ruota intorno alla vexata quaestio della dialettica, monovocativa a favore di Lui, fra l’Io lirico-poematico del Poeta e il Tu femminile, invocazione-vocazione-evocazione su cui si fonda e prospera tutta la poesia italiana dalle origini al Novecento. Da questa presa di coscienza poietica prende forma la questione centrale dei miei due libri, due capitoli di un unico romanzo poematico di (in)formazione autobiografico-transpersonale: l’interrogazione sulla musività (intesa come presenza ineludibile della Musa e poeticità in sé) nel rapporto speculare Io-Tu e poi – per forza di cose – nel rapporto intraspeculare lei-Lei, quando a scrivere sia un Soggetto poetante femminile. Su quest’ultimo punto è focalizzata l’intera operazione de Lo Dittatore Amore, in quanto secondo momento, altrettanto parodico,  del poema-romanzo di formazione Comèdia, centrato piuttosto sulla questione primaria della formazione del Soggetto poetante dal punto di vista femminile. In sintesi sto per ritrattare, ritratteggiandoli, (de)gli argomenti cruciali del Libello bignamico della Tradizione Letteraria: il rapporto fra la Poesia Stessa (nella sua solita e ormai insolente e insolvente quidditas) – unico Soggetto del contendere poetico di sempre – e la Donna (il Bello della Donna), suo Oggetto di sempre per i fabbricanti del bello di sempre, ma dal punto di vista rovesciato (parodico e, in quanto tale, comico) di un Soggetto scrivente donna che finalmente prende la parola ovvero interloquisce col Padre in quanto Soggetto Maschile scrivente da sempre intorno alle due Lei: Poesia e Madonna. Dialettica oramai emunta, e non da poco tempo, se già Dino Campana, geniale sovvertitore di questa funebre tendenza (la Musa è per necessità Morta o almeno Assente in quanto donna, da Dante-Petrarca a Montale ed epigoni), ebbe a scrivere in un frammento deiTaccuini intitolato Nel portamento della testa: “Nata morta… Troppo a lungo durò la commedia della poesia italiana”. Desidero puntellare con questa annotazione di sgomento funebre il mio tentativo di entrare in arte in lingua italiana. Gli esiti – sterili o prolifici, costruttivi (sperimentali) o meramente decostruttivi – della mia ritrattazione poietica, discanto, odioso disincanto, amoroso ricantare, non mi è dato conoscerli, anche se spero per me, ovviamente e dantescamente, nell’opzione innovatrice-sperimentale a sfondo politico: il mio contributo alla causa femminista è l’annuncio-denuncia dell’avvenente (azione del Soggetto Femminile Poetante in processo linguistico dal dittato del Padre) poetricio, scambio meretricico della Figlia Poetante con il corpus poematico del Padre, bòtte e risposte fra sentenze versali già dittate ma si spera altrimenti ridicibili. Alle postere, in ogni caso, altre sentenze palingenetiche, che magari sostituiscano la marca orfica campaniana con una sorta di superamento, nel dittato, del lutto orf(an)ico.

Comèdia & Comedìa (anònimo florentino), in AA.VV., Dante en América Latina,. Actas primer congreso internacional sobre Dante Alighieri en Latinoamérica. Salta 4-8 de Octubre de 2004., al cuidado de Nicola Bottiglieri e Teresa Colque, 2 voll., Edizioni dell’Università degli Studi di Cassino, 2007, pp. 1023-1044.Comèdia & Comedìa (anonimo fiorentino), in AA. VV., La scoperta della poesia, a cura di Massimo Rizzante e Carla Gubert, Pesaro, Metauro, 2008, pp. 61-92.

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