Antologia Vieusseux, a. XXVIII, n. 84, settembre-dicembre 2022


Letterature comparate, a cura di Ernestina Pellegrini



di Diego Salvadori

Mitologemi e genealogie. Rosaria Lo Russo critica e traduttrice

Rosaria lo russo, La protagonista di Pirandello, Pesaro, Metauro Edizioni 2021, € 25,00.
Rosaria lo russo, Figlia di solo padre, Macerata, Seri Editore 2021, € 15,00.

Anne Sexton, Il libro della follia, trad. it. di Rosaria Lo Russo, Milano, La nave di Teseo € 17,10.

Quella di Rosaria Lo Russo è un’identità polimorfica, dove poesia e istanza performativa non possono in alcun modo prescindere dalla ricerca critica e la pratica traduttologica. Impossibile non ricordare, solo a volerne citare alcune, raccolte poetiche quali L’estro (1987), Comedia (1998), Lo dittatore amore. Melologhi (2004), Poema 1990/2000 (2013), Nel nosoco- mio (2016), o la più recente Rina (2021): testimonianze di una poesia dove la lingua, prendendo a prestito la lettura di Francesco Stella, si fa voce estrema, un vero e proprio ‘barocco fisiologico’, tale da eleggere il corpo a elemento centrale della poiéin, in un susseguirsi di registri linguistici pronti a restituire un idioma spiraliforme, cangiante, venato da un’agonica unicità. Ma l’attitudine da performer di Lo Russo affonda le proprie radici in una doppia gemellarità letteraria, pronta a dischiudere due figure che, per quanto all’apparenza distanti, si pongono alla base della sua genealogia creativa: Luigi Pirandello, al centro della sua tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo; e Anne Sexton, la poetessa confessional dei Love Poems, di cui Lo Russo è la stata la prima traduttrice italiana. Quasi una sorta di Giano Bifronte – padre e madre al contempo – da cui la parola ha origine e parimenti ritorna, tenendo uniti quelli che sono i ‘tavoli’ di Lo Russo – poeta, performer, critica e traduttrice – in una costellazione sui generis, quasi un sistema di vasi intercomunicanti.

Pirandello, in un certo qual modo, tiene a battesimo la Lo Russo ermeneuta, che con La protagonista di Pirandello (Metauro 2021) non solo torna al suo ‘primo’ autore, vieppiù apporta un contributo fondamentale a livello critico, tale da indurci a ripensare sotto una nuova luce tutta l’opera dello scrittore. Nello specifico, il libro si concentra sul personaggio e la sua specifica mitografia a livello drammaturgico, segnatamente al rapporto autore/attore. Nell’oscillare tra creazione e pensiero, la poetica di Pirandello forgia la realtà mediante un moto riflessivo e altrimenti speculare, tale da risolversi in una scrittura ch’è un po’ – scrive Lo Russo – «come il

gioco delle scatole cinesi […] [:] un procedimento seriale e metonimico di sdoppiamento e dell’io» (p. 19), unitamente a una serrata mise en abyme che, a livello della scrittura teatrale, sfocia in una rielaborazione dell’impianto «strutturale di tipo allegorico e parabolico» (p. 21), dove il legame tra attore-autore vede il primo concepire le caratteristiche del personaggio in base alle future azioni sceniche del secondo. Si tratta, si badi bene, di una relazione eminentemente gerarchica, che illumina il «rapporto sadico e sublime fra lo scrittore e il personaggio per l’attrice, ovvero fra il drammaturgo e l’attrice protagonista, come persona e come personaggio, in quanto sua interlocutrice privilegiata» (p. 28). Come nasce, dunque, il personaggio del teatro pirandelliano? Lo Russo si muove con agilità in quella che è la produzione del suo autore, e lo fa rintracciando le scaturigini di un femminile che Pirandello è sempre andato cercando per verba, ferma restando l’indissolubile dicotomia tra «nascita creativa e nascita naturale» (p. 41), pronta a risolversi in un corteggio di deformazioni e sfiguramenti dell’imago materna, financo all’annientamento del frutto che porta in grembo (come si evince dalla novella La distruzione dell’uomo), al che «la madre carnale è emblema di morte, è sempre madre per la morte» (ibidem). Un ideale controcanto, invece, può essere ravvisato nel mitologema ancipite Giove-Atena, che nel farsi emblema della creazione artistica – una «partenogenesi mentale» (p. 54) – sussume il legame privilegiato tra l’autore-capocomico e la sua primattrice (mito poi ravvisabile in Sei personaggi in cerca d’auto- re). Il libro, nel suo andamento spiraliforme, rintraccia quelle che sono le specularità dello scrittore stesso, a partire da Silvia Roncella – protagonista del romanzo del 1911 Suo marito – e il cui cognome altro non sarebbe che un velato omoteleuto di Pirandello stesso. Un personaggio, questo, pronto a rafforzare l’idea della maternità partenogenetica scevra dalla materialità carnale del corpo, ragion per cui Silvia si affranca dai ruoli di moglie e di madre. Per Lo Russo, siamo dinanzi a una maternità sdoppiata, là dove «una pertiene alla natura, l’altra all’arte, una riguarda il “tipo umano”, la Madre, l’altra, allegoricamente, il tipo “spirituale”» (p. 60). Nell’eleggere il testo del 1911 a vero e proprio collettore della teoresi pirandelliana, la studiosa si ricollega alla ‘protagonista’ oggetto di questo studio, nell’affermare che:

La contrapposizione fra maternità carnale e la maternità mitica [scil. partenogenetica] non solo è uno dei temi principali del corpus pirandelliano, ma è anche il motivo costante da cui si origina il conflitto dialettico della protagonista nella drammaturgia: Pirandello drammaturgo e capocomico mostra una netta predilezione per la rappresentazione scenica del dramma della maternità, ma intendendolo come problema

della scissione, del personaggio della protagonista, fra due maternità, e sempre affiancando tale dialettica, per contiguità tematica, a quella fra demenza e follia. (p. 66)

Nel costituire l’archetipo della protagonista teatrale pirandelliana, il personaggio di Silvia Roncella si fa punto di origine e serbatoio di «un vasto repertorio di future scene-madri e snodi drammaturgici» (p. 67), per quanto il sublimarsi della maternità carnale spinga altresì Lo Russo a intercettare le particelle di una subliminale intertestualità, che sulla scia di Luciano di Samostata e la sua Storia vera vede la scrittura farsi vero e proprio mondo lunare, in cui l’atto drammaturgico-mitopoietico può compiersi proprio perché dal peso di una materialità soverchiante, nonché dall’ombra di una Madre Terra, al che il satellite – nell’opera di Pirandello – finisce con l’assumere una funzione consolatoria e salvifica. Da Giove a Endimione, dunque. Lo Russo porta avanti un contrappunto critico dove il mitologema si fa grimaldello ermeneutico e parimenti ausculta le oscilla- zioni della scrittura, si insinua nelle sue pieghe, la restituisce al lettore da un punto di vista multi-prospettico. Un’analisi, si badi bene, corroborata da un attento piglio filologico e che porta la studiosa a sostare in quella che è stata la produzione poetica dell’autore, in cui i germi di questo selenico corrimano si fanno localizzabili. Si legge a tal proposito che la dea lunare è la matrice figurale del personaggio femminile piran- delliano. La fascinazione lunare è la ragione profonda della mitificazione che costruisce il personaggio (femminile) inteso come unità di misura di tutta la poetica pirandelliana […]

Nell’opera poetica, pur emergendo già – nonostante le chiusure metri- che – la tendenza prosastica alla dialettica riflessiva, Pirandello esplicita candidamente il progetto di trasfigurazione sublime, etica ed estetica, del reale mediante l’equazione classica degli ideali di Bellezza e Verità che nasconderà abilmente, rielaborandola, nell’affabulazione borghese dell’opera considerata maggiore, e che è invece scoperta e dichiarata nell’opera poetica, dove gli stessi mitologemi affiorano coi loro nomi e con le loro azioni, in bella mostra di una competenza mitografica che facesse il paio con quella retorica del letterato Pirandello. (p. 115)

I sondaggi negli scritti del Pirandello poeta non solo si fanno imprescindibili per una scrittrice di poesia quale Rosaria lo Russo, vieppiù confermano quella ‘linea lunare’ che si sostanzia appieno nella realizzazione del sogno dusiano dell’autore. Stiamo parlando dell’incontro con Marta Abba, che nell’incarnare il personaggio per via sottrattiva finisce per svilupparne il potenziale caratteristico e parimenti farsi co-creatrice del personaggio stesso: vera e propria «madre partenogenetica dell’opera» (p. 266). Lo si evince dalle considerazioni inerenti a Diana e la Tuda, perché è lì che la protagonista dell’opera trae linfa da un’ineludibile e quantomai feconda triangolazione tra la dea, la primadonna e l’attrice reale: tre punti di un rapporto riflessivo che suggella ed esplicita quell’ossessione ricorsiva e figurale per la Dea lunare, purtuttavia destinata a sfumare ne I giganti della montagna, dove la morte di Ilse si fa «conclusione riflessiva della tragedia umana e artistica dell’attrice pirandelliana Marta Abba» (p. 320). Ed è sempre lo scrittore agrigentino a figurare in apertura all’altra raccolta saggistica dell’autrice, Figlia di solo padre (Seri Editore, 2021). Nove piste ermeneutiche – uscite tra il 1994 e il 2000 – pronte a scandire una personale e quantomai inedita genealogia letteraria, quasi una sorta di metatesto e romanzo critico: punto di accesso alla Lo Russo ‘poetrice’. In quelli che sono i saggi costitutivi la seconda costola del volume – dedicati a scrittrici di poesia del secondo Novecento quali Anne Sexton, Sylvia Plath e Amelia Rosselli – l’Io lirico della scrittura femminile è analizzato alla stregua di un Io transpersonale, il che ci porta a contemplare l’altro tavolo di lavoro di Rosaria Lo Russo, ovverosia quello di traduttrice di poesia. Questo perché «la traduttologia poetica si rivela un luogo privilegiato di osservazione, […] [in quanto] l’atto del tradurre poesia è la forma di scrittura più vicina ad una riflessione sull’atto stesso della scrittura in quanto artigianato della mente, forse anche di più della scrittura in versi di prima mano» (p. 7). Il saggio eponimo, non a caso, reca quale sottotitolo Note in margine ad una traduzione, e affianca in una scrittura serrata e densa le ‘primedonne’ della confessional poetry – Sylvia Plath e Anne Sexton – entrambe riunite sotto l’ombrello di una quête inesausta, ovverosia la ricerca del padre, dove quest’ultimo si fa vuoto ossessivo e pienezza assente nel suo rinfrangersi (e frantumarsi) per metafore e camouflages, annientamenti e trasformazioni. Per Lo Russo, la ‘figlia’ novecentesca ricerca un collegamento con la figura paterna, la cui identità ricostruita mediante l’atto del fare poetico si fa essa stessa identità di colei che scrive. Ed è per tale ragione che Plath e Sexton muovono da un terreno comune:

Tutte queste poesie sono state scritte in memoriam dei loro padri reali, anzi Anne Sexton pubblicò tutti i suoi libri dopo la morte del padre, e gran parte delle sue poesie, ma anche di quelle di Sylvia Plath, germina proprio dal dolore per l’attesa di lui da sempre delusa, da quest’assenza definitiva, da un lutto perpetuato ormai soprattutto nei confronti della propria persona, fino al suicidio (p. 143).

Ma sarebbe un errore ricondurre tale scrittura a un self autobiografico, giacché la poesia confessionale opera per maschere e travestimenti, alla stregua di un vero e proprio dramma teatrale, dove l’istanza performativa si fa – specie per Sexton – una condicio sine qua non:

La materialità del teatro nella poesia […] [:] una condizione generale di molta poesia femminile del secondo Novecento che, trova nella fisicità, nelle realtà corporee, l’argomento, anzi l’elemento fondante della scrittura; incarnare personaggi significa tentare di liberarsi dai corpi reali per rappresentarne altri mitificati, figure controfigurali di un sé e di un altrui, di per sé, poco accetti (ibidem, corsivo mio).




Rosaria Lo Russo su Antologia Vieusseux