
Filastrocche, giochi e rime quando il lavoro sulle parole è fonte d’immaginazione.
Di Eugenio Lucrezi. La Repubblica, sabato 14 settembre 2024.
Perché i ludolinguismi sono interessanti per il poeta? Perché insegnano che il lavoro sulle parole è la fucina dell’immaginazione. Un esempio per tutti: Toti Scialoja (1914-1998), pittore romano passato dalla Scuola Romana all’informale e all’improntismo furibondo del corpo a corpo con la tela. Riprendendo quanto scritto nel “Dizionario critico della poesia italiana. 1945-2000”, curato da Mario Fresa (Società Editrice Fiorentina 2023), direi che questo artista incarna un paradosso: fu Kaos e insieme Kosmos, disordine e ordine. È stato anche, infatti, scrittore di versi esatti e conchiusi, battenti metriche a orologeria, per lo più ispirati alla tradizione dei giochi di parole e delle filastrocche da cui trae alimento la letteratura per l’infanzia.
Letteratura minore? Forse no, se un numero via via crescente di critici, tra i quali Montale, Manganelli e Raboni, ha rilevato che questa marginalità da genere esiguo, tanto marginale non era. E che anzi, Scialoja, con i suoi “divertimenti”, si andava assestando con sempre maggiore chiarezza in una posizione di rilievo, tanto da essere annoverato, oggi, tra i maggiori poeti italiani del secondo Novecento. Perché nella sua “ricerca di consonanze, rime interne, allitterazioni, sta la cellula primaria della poesia” (Renato BarilIi). E, in virtù della inafferrabilità, anche di uno stile che riesce a gestire i registri del giocoso e della tragedia esistenziale, investendoli in operazioni di linguaggio, in verità più matematiche che automatiche. Quale migliore antidoto nei confronti dei rischi della scivolata goliardica e della vertigine ascensionale del subli-me? Leggere per credere: «Quando il lutto autunnale/è un tunnel condiviso/chiedo al tuo volto l’ele-/mosina di un sorriso.//Piove un pallido sole/? illude chi s’infila/nel folto? è questa l’ele-/ganza del nostro viale» (da “Le sillabe della Sibilla” di Scialoja). Dove la doppia inarcatura intraverbale tra il terzo e il quarto e tra il settimo e l’ottavo verso, mima con il suo corpo fatto di lettere e di parole il gesto dei due che si curvano per attraversare il verde, frondoso tunnel del giardino. E, insieme, forse, il tunnel della stagione che si spegne, della vita che fugge.
Gesù lattante
Anne Sexton
trad. di Rosaria Lo Russo
Maria, le tue grandi/mele
bianche mi fanno felice. / Sento
l’impianto del tuo / cuore al
lavoro e io ronfo come una
mosca. / Tossicchio come
l’uccellino sul verme. / Io sono
un bambolo gommoso e tu sei
mia moglie. / Tu sei lo scoglio
e io capellone d’alghe. / Tu sei
il giglio e io l’ape che lo
infila. / Chiudo gli occhi e ti
succhio come fiamma. / Cresco.
Cresco. Divento bello
cicciottello. / Sono un bimbo in
canotto e tu sei il mare, / il
sale, tutti i pesci del mondo.
// No. No. / Tutte balle./
Sono piccolo / e mi tieni. / Mi
Dai il latte/ siamo una cosa
sola/ e sono felice. / No, no.
/Tutte balle. /lo sono un
camion. Un rullo compressore.
/Tu il mio possesso.
La poesia è tratta da Carte di Gesù, terza e ultima sezione de ll libro della follia (The Book of Folly, 1972), curato da Rosaria Lo Russo, edito da La nave di Teseo nel 2021. Lo Russo, poeta e performer di rango, è la traduttrice storica di Anne Sexton (1928-1974), allieva di Robert Lowell e amica di Sylvia Plath. Il testo che qui leggiamo è rappresentativo dell’energia della poeta del Massachusetts, capace di presentare le relazioni umane in un potente teatro del perturbante. Come funziona questo teatro? Nell’improvviso metamorfico del soggetto, che si sposta sulla scena senza preavviso, passando in un attimo dal godimento al patimento. Sexton è sorella di Ovidio.