Elena Cappai Bonanni, Neutopia Blog (16 maggio 2024)


Buongiorno Rosaria, ti ringraziamo per avere accettato il nostro invito. Con la sua Morfologia, Propp ha indagato le funzioni delle fiabe e la loro portata antropologica, spesso legata alla rottura di un divieto da parte dell’eroina che innesca il flusso della narrazione. In Trasformazioni (1971), i personaggi femminili hanno un ruolo cruciale: spostando il punto di vista attraverso la parodia, senza per questo perdere l’aspetto tragico, l’autrice vivifica il compito della fiaba sottraendola alla tradizione dei fratelli Grimm, per riattualizzarla. La stessa Anne Sexton gestisce il racconto dall’interno, presentandosi come “strega di mezza età”, con “la faccia dentro a un libro” e “la bocca spalancata”. Si può dire che la poesia di Sexton sta contravvenendo alla regola del silenzio?

Tutta la vita e l’opera di Anne Sexton sono una contraddizione, a partire dalla contraddizione numero uno, quella della regola del silenzio. Nata in un ambiente, sia cittadino, Boston, che familiare, dalle radicatissime regole di comportamento puritano, Anne queste regole le ha contraddette e contraffatte tutte. La sua vita contro la società è iniziata involontariamente e prestissimo, servendosi del grande alibi letterario della malattia mentale. Attraversando senza regole e silenzi la malattia che oggi diciamo bipolare e che allora si chiamava isterismo, e che oggi pare essere piuttosto una postura della lingua che una malattia, malattia precipuamente femminile sin dall’etimologia, Anne Sexton non ha voluto essere una donna borghese americana degli anni ’50 e ’60 del Novecento. Così, nel suo mondo in versi, ha inventato gli anni Settanta, quegli anni rivoluzionari quanto a costume, società, cultura generale, letteratura, modi di vivere, sulla cui evoluzione ancora la poesia prospera, la poesia intendo dire che non è caduta nel gorgo cosmetico del riflusso anni Ottanta e così via. Le poesie della Sexton, specialmente quelle che ancora non sono uscite in traduzione italiana, quelle uscite postume, a cura di sua figlia Linda, la sua curatrice testamentaria letteraria, sembrano scritte oggi, da una ragazza drogata, alcolizzata, depressa, ironica, disperata e vivacissima.

Il proppiano tracciato rituale di iniziazione alla accettazione delle regole della comunità, l’iter burocratico per entrare a far parte della società, Sexton l’ha contrastato, contraffacendone i tratti, in ogni piega della sua scrittura in versi. L’eroina dei Grimm finisce per vivere col marito e i figli tutti felici e contenti. L’eroina sextoniana si trova, alla fine di ogni riscrittura, con un pugno di mosche in mano quanto a realizzazione del sogno americano della famiglia borghese perfetta: si trova vanificata. Ed è talmente totalizzante il suo ripercorrere l’orrore dell’iniziazione femminile alla donnità repressa che nell’ultima figura, Rosaspina, allude alla sua vita direttamente e soprattutto al suo futuro, imminente, al suicidio, evidentemente già programmato come performance contro la regola della Principessa a favore di quella della Strega/Madrina Cattiva, che è poi un’altra proiezione autobiografica, anzi colei che racconta la trasformazione della favola della signora borghese americana nell’incubo della donna americana che in questo cliché proprio non poteva abitare, al punto di optare per la pazzia. Non abitare il ruolo tradizionale di donna però significava anche non poter abitare il suo corpo di donna, moglie, madre e infine – con troppa autosvalutazione e poca fiducia – grandissima poeta. E così ci ha lasciate sole troppo presto a vedercela coi mostri.





Le Trasformazioni di Anne Sexton | Intervista a Rosaria Lo Russo