Andrea Canova intervista  Rosaria Lo Russo


Interviste che intendono far conoscere qualcuno a qualcun altro, come se due sconosciuti si incontrassero per la prima volta.
L’intervistato ha la più assoluta libertà di dire o non dire ciò che vuole di se stesso.
In queste interviste non si cerca il clamore, il gossip, lo shock.
Si tratta di interviste scritte dall’intervistato, dunque non orali, per ovviare al brutto costume italiano di “modificare” il detto dell’intervistato, a volte con scopi non ben chiari, o fin troppo.
Rispetto alle specificità professionali dell’intervistato, le novità professionali non saranno dimenticate.

– Chi è Rosaria Lo Russo?

Sono un’autrice tardonovecentesca. Sin dall’adolescenza ho avuto un unico pensiero, un’unica volontà, probabilmente un unico amore: il dettato in versi, ovvero la prassi, il tic, la coazione a ripetere di leggere la vita tramite le parole in versi, altrui e poi miei, soprattutto altrui, meno mie. La parolona era, già allora e poi tacitamente sempre, essere un’artista. Ma la verità semplice era ed è esperire la realtà, visibili e invisibile, tramite il processare parole unite dal ritmo. E questo in particolare con la poesia ma anche, e molto, col teatro. Dico che sono autrice perché la mia poetica si è espressa in poesia ma anche traducendo e scrivendo saggi, cioè coltivando una poetica, unico discrimine fra essere scrittore o scrittrice e essere autore o autrice essendo avere una poetica, che regoli inconsciamente ogni mossa scrittoria, o procedere piuttosto casualmente. Non sono feticista della parola scritta. Amo e coltivo solo le poetiche forti e chiare, la scrittura per la scrittura o come passatempo, hobby, occasionalità, mi annoia e perfino mi pare una facezia immorale. Scrivere è un lusso, uno spreco, un gioco. Se costa l’intera vita va bene se no no.

– Che tipo di formazione hai? Studi, letture, mentori

Sin da piccolissima ho avuto le idee chiare: dettati e pensierini e ricerche di storia e geografia, e nessun amore per le materie cosiddette scientifiche, alle elementari e alle medie. Alle medie ho sempre saputo che avrei fatto il liceo classico e al liceo, nonostante soffrissi di serie patologie nevrotiche e quindi avessi una vita piuttosto infernale, sapevo che sarei andata a Lettere. Poi l’incontro cruciale con la scuola bigongiariana: due anni di Montale e poetiche del Novecento con maestri come Piero Bigongiari, Luigi Tassoni, Oreste Macrì, ma anche D’Arco Silvio Avalle e l’amore per le filologie. Tuttavia la mia ossessione ritmica mi spingeva verso il teatro e ho finito per laurearmi in Storia dello Spettacolo con una tesi su Pirandello che poi ho pubblicato, con mille aumenti e revisioni, nel saggio La protagonista di Pirandello, nel 2021. Nel 2019 avevo pubblicato un’altra raccolta di saggi che raccoglieva i miei studi su varie tematiche e intersezioni fra poesia e drammaturgia, Figlia di solo Padre. In questi due volumi, oltre agli argomenti trattati, è esposta la mia poetica pluridecennale, in filigrana e, nel saggio Comedia&Comedia di Figlia di solo Padre, esplicitamente.

– Sei una “poetrice”. Che cosa significa?

Ho sempre avvertito disagio nella pronuncia del termine poetessa. Mi risuonava di echi distorti sulla condizione femminile. La poetessa è una creatura idealizzata e lirica e io non mi sento da idealizzare e tanto meno lirica. Sono una forzata della parola e poetrice rende ironicamente questa condizione di produttrice seriale, visto che continuamente opero sulla parola poetica, soprattutto non mia, come lettrice ad alta voce di poesia (espressione più consona del termine performer che, abusato, vuol dire tutto e nulla).

– È corretto dire che ascoltandoti leggere si ha l’impressione che tu abbia di fronte non solo un testo scritto ma una vera e propria partitura?

Lo spero vivamente. Il mio modo di affrontare il reading di un testo poetico prevede uno studio del testo millimetrico, per la precisione, ritmico-sillabico. Quindi il paragone è appropriato. Eseguo una scansione verbale ritmica e questo non prevarica ma prescinde dalla sintassi. Quindi la dominante in una mia lettura a alta voce è la partitura fonosimbolica di un testo piuttosto che il costrutto sintattico. D’altronde questa prevalenza è la base del discorso poetico, un testo in cui la componente ritmico-sonora si approssima al senso più della sintassi ovvero della parafrasi. Talvolta la poesia non è nemmeno parafrasabile, del resto.

– A suo tempo Antonio Porta scrisse “Nel fare poesia”, una sorta di saggio sullo scrivere in versi, dove centrale è proprio il “fare”, così come credo che lo sia per Rosaria Lo Russo. Che ne pensi?

È noto che il termine poesia deriva dal verbo greco poièin, che significa fare. Perciò il dire in poesia non è un pensare logico discorsivo ma piuttosto un fare baciare lettera testamento. Tuttavia la grande poesia, il grande fare, induce il lettore, e lo scrittore che se è tale sarà anche il primo ignaro lettore del suo dettato, a nuovi orizzonti del pensiero logico discorsivo. Il fare poetico è un lavoro del linguaggio e siccome l’essere umano è fatto di linguaggio ogni altro suo fare dipenderà da esso, e se la poesia è, come diceva il grande linguista Roman Jakobson, il metalinguaggio per eccellenza, sarà chiaro come la funzione antropologica della poesia è basilare, direi neurologicamente basilare, di ogni altro prodotto del pensiero umano. Sempre che non sia un passatempo per narcisisti.

– Qual è la poetica di Rosaria Lo Russo?

Mi trovo costretta a rimandare ai libri di saggi di cui sopra per tentare una risposta a questa domanda. E di leggere le mie prefazioni e postfazioni ai libri di traduzione della poeta nordamericana Anne Sexton, per me un alter ego verso cui tendere ognora.

– Qual è il tuo più grande sogno?

Tradurre l’opera completa di Anne Sexton (per ora siamo solo al quinto libro, la traduzione di Transformations che dovrebbe uscire entro il 2023)

– Qual è la tua più grande paura?

Che diventi impossibile pronunciare il noto verso manzoniano che consola da ogni frustrazione: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

– Che cosa vorresti lasciare dopo la tua morte?

L’archivio di voci che ho dato alla poesia, e che è raggiungibile, per chi volesse ascoltare, dal mio sito.

FINE







Poetessa sarà lei. Prego, mi chiami “poetrice”. Rosaria Lo Russo tra letteratura e teatro